Una piccola storia....

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Vaniglia97
view post Posted on 17/10/2010, 19:35




Da un annetto mi ronza in testa una storiella, che da un mesetto ho deciso di buttare giù. Raramente riesco a scrivere, ma sono riuscita a terminare il primo capitolo. Ditemi che ne pensate. (Se devo metterlo in spoiler ditelo)

Avevo compiuto tredici anni da dieci giorni esatti. Erano le sette e trentacinque, e mi stavo preparando per andare a scuola, come tutte le mattine. Ogni giorno della mia vita, perlomeno finchè c’era la scuola, si rassomigliava. Quella mattina, però, qualcosa di diverso c’era. Dovevo comprare un quaderno. A sorpresa, il giorno prima al mio quaderno di letteratura erano rimaste soltanto due pagine bianche. A sorpresa, la mia riserva di quaderni a righe era terminata. E così, per la prima volta nella mia vita dovevo comprare un quaderno proprio prima di andare a scuola. Ripensandoci, è proprio con una novità che la mia vita monotona è terminata. È proprio grazie a quel quaderno, se adesso posso dire di aver vissuto veramente.
Arrivata davanti alla scuola, salutai mia madre e scesi dall’automobile. Mi diressi verso l’istituto scolastico e, soprattutto, verso la mia migliore amica. Conoscevo Alessia dall’età di tre anni, e da allora non ci eravamo mai lasciate. Non avevamo niente in comune, assolutamente niente. Io ero alta, snella al punto giusto, capelli castani ricci, occhiali, timida, introversa, amante dello studio e della lettura. Lei era bassina, magrissima, capelli biondi lisci, vista perfetta, esuberante, estroversa, amante della musica e della danza. Dicevo, mi diressi verso di lei e la salutai “Ciao Ale, tutto bene?” “Si si, te?” disse abbracciandomi “Hai fatto letteratura? Io non ci sono riuscita” “Si, se arriviamo presto in classe ti do una mano. Una mano, non ti faccio copiare!” dissi ridendo “A proposito, ho finito il quaderno e devo comprarlo. Vieni con me? “Si, così magari mi riscaldo un po’, fa un freddo cane. Andiamo!” disse, poi prendendomi sotto braccio cominciò a camminare. Avevamo percorso solo qualche metro, quando la campanella trillò “Uffa, e ora la prof chi la sente. Ale, fai una cosa, corri in classe e inventati qualcosa per temporeggiare finchè non arrivo, ok? Corri” dissi, dandole una leggera spintarella. Mi incamminai a passo svelto, pensando a quale quaderno comprare per abbreviare i tempi. Ad un tratto vidi venire verso di me un volto conosciuto. Davide. Davide era mio amico dall’età di sette anni, ma ci conoscevamo dai tre anni. Ed io ero innamorata di lui. Lo so, “innamorata” è una parola grossa a tredici anni, ma non ne ho mai trovata un’altra. “Mi piace” mi pareva troppo restrittivo, così la mia cottarella infantile la chiamavo amore. Era alto cinque dita più di me (e la cosa mi mandava in bestia), capelli castano scuro, occhi castani, allegro, estroverso, spiritoso, permaloso, e riusciva a comprendermi. In pochi erano capaci di farmi tornare il sorriso nei momenti di sconforto, e lui era tra questi. Comunque, veniva verso di me con una faccia strana, triste e afflitta, dispiaciuta. Una faccia che non era da lui. Non ebbi nemmeno il tempo di salutarlo, quando fece una cosa stranissima: mi avvicinò a lui, mi misi una mano dietro la testa e l’altra davanti alla bocca. Quindi, si posizionò dall’altra parte della mano. “Scusami” mormorò. In quel momento capì che quella cosa strana era la simulazione di un bacio. Cominciai a divincolarmi, ma la sua stretta divenne ferrea, e l’unica cosa che riuscii a fare fu mordergli un dito. Dopo qualche secondo mi lasciò di scatto, ed io corsi verso la scuola, la mia ancora di salvezza. Troppo tardi capii che la scuola, altro che salvezza, era l’inferno! La nostra scenetta era stata tutt’altro che privata, e presto ne avrei pagato le conseguenze. Ah, ma Davide non sarebbe certo rimasto impunito! All’uscita di scuola, lo avrei massacrato…. In una specie di stato di shock, entrai in classe e mi accomodai al mio posto, notando a malapena l’assenza della professoressa. “Finalmente, dov’eri finita?” mi accolse Ale con un fiume di parole “Per fortuna che la professoressa non c’è, dicono che è malata, speriamo manchi per un mese! Ma che ti è success..”
“Wow, Cristina, complimenti per lo spettacolo. Queste cose te le prepari a casa o improvvisi?” esclamò entrando in classe Giacomo, il più bravo dopo di me ma anche il più sfrontato e irriverente della classe. Spesso le sue battute erano divertenti, ma altrettanto spesso erano inappropriate, proprio come in quel momento. Alessia gli diede una risposta che non udii, poi si concentrò su di me: “Mi spieghi, cortesemente, che è successo?” Così, con frasi sconnesse, riuscii a farle capire l’accaduto, mentre l’attenzione dei presenti si concentrava su di me. I maschi ridevano a gran voce, le femmine emettevano acuti risolini chiedendomi da quanto tempo ero fidanzata. L’arrivo della seconda ora, e con essa del supplente assegnatoci, mi rincuorò un pochino, e mi diede modo di pensare a mille modi per vendicarmi. Nessuno mi interrogò, e fu una fortuna perché avrei parlato in modo molto dettagliato dell’atroce tortura alla quale avrei sottoposto Davide. Suonata la campanella, corsi immediatamente fuori dal portone, e poi verso il luogo nella quale io e Alessia aspettavamo abitualmente quell’infame traditore. Nell’attesa altri alunni che avevano visto la scena quella mattina fecero delle battute alla quale cercai di non badare. Appena Davide fu a portata di orecchio, lo aggredii. “Mi fai capire cosa ti ha detto quel tuo cervello dal diametro di 2 millimetri ormai permanentemente abitato da mosche? E muoviti, che voglio arrivare il prima possibile a casa” dissi, cominciando quasi a correre, per il nervosismo e per la fretta, appunto, di andarmene. “Ma dai, non è successo niente, è stata una sciocchezza” proprio in quel momento quasi a volerlo smentire, uno dei miei compagni di classe passo con la bicicletta fischiando verso di noi “La vedo, la sciocchezza” risposi amara “Vuoi almeno spiegarmi il motivo di tale azione?” “Vedi, questa mattina io e alcuni miei amici….” cominciò esitante “…io e alcuni miei amici abbiamo fatto una scommessa. A turno avremmo baciato la prima ragazza e passava, e così….Ma se tu non fossi passata proprio in quel momento… Non potevo fare la figura del codardo…….” Qualunque cosa mi sarei aspettata, ma non quello. La mia vita era momentaneamente rovinata, e per che cosa? Una scommessa. Una scommessa. Scoppiai a ridere, una risata nervosa, isterica. “Una scommessa? Ma io ti ammazzo, altrochè. Ti ammazzo! Stai a vedere che uno non è libero di passare quando vuole perché un’idiota ha fatto una scommessa con i suoi amici. Una scommessa! La prossima volta avverti, metti i manifesti, così mi asterrò dal passare. Ma non ci sarà una prossima volta, perché io ti ammazzo adesso!” e cominciai a dargli schiaffi sulle braccia, in faccia, ovunque riuscissi a raggiungerlo. Alessia, che fino a quel momento era stata in ascolto, intervenne per separarci. Non sarebbe mai riuscita a trattenermi, ma mi lasciai allontanare e ripresi una facciata dignitosa. Solo in quel momento mi accorsi che avevamo raggiunto casa mia, quindi salutai promettendo a Davide che non sarebbe finita lì, e suonai il citofono. Entrata in casa, posai lo zaino e mi afflosciai sul divano, ancora incredula. Una scommessa. Una scommessa infantile, per di più. Quando mia madre mi chiese il motivo di tanta tristezza, le dissi tutto. E scoppiai in un bel pianto liberatorio, che trattenevo fin dalla mattina.
 
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valenzz90
view post Posted on 18/10/2010, 20:23




triste,ma molto bello. Scrivi bene^^ mi piace soprattutto la parte finale.
 
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Vaniglia97
view post Posted on 18/10/2010, 21:20




Grazie mille, non credevo di essere così brava. Che dici, riusicrò a pubblicarlo? A parte gli scherzi, grazie davvero. A me la parte finale ha fatto molto ridere, non è che è tanto triste comunque. Quando sarà pronto pubblicherò un altro capitolo.
 
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valenzz90
view post Posted on 18/10/2010, 21:41




ok apsetteremo^^
 
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Vaniglia97
view post Posted on 14/11/2010, 20:35




Secondo capitolo pronto, anche se un pò più corto. Mi raccomando, voglio sentire cosa ne pensate!!!

La settimana seguente fu infernale. Ogni volta che io e Davide ci incontravamo, cominciavamo a litigare. O meglio, io cominciavo a litigare. Spinta da una furia incontrollabile, cominciavo ad urlargli contro, senza dargli nemmeno il tempo di ribattere alle mie accuse. Solo dopo ho capito che la mia era una reazione esagerata, ma in quei momenti perdevo il controllo. Avevo fatto di tutto per rimanere nell’ombra, farmi conoscere da meno persone possibili, e ci ero anche riuscita. Certo, l’essere la più brava della classe mi rendeva “famosa” in un paio di classi, ma i tre quarti dell’istituto non sapevano chi fossi. Ora, invece, ero sulla bocca di tutti per una cosa che non avevo fatto. Già, una cosa che non avevo fatto. Su questa cosa mi ci fece riflettere Alessia, durante uno dei miei tanti sfoghi spesso correlati con un pianto. La piccola, dolce e ingenua Alessia mi disse “Ma non è che la cosa ti infastidisce tanto proprio perché non è successa? Cioè, non so se mi hai capita….”. Non risposi, ma l’avevo capita benissimo. Aveva ragione. Se almeno lui mi avesse baciata, mi sarei tolta uno sfizio, e la cosa avrebbe addolcito la situazione. Chissà, magari lui si sarebbe accorto di me…. Invece, oltre al danno la beffa. E comunque, a me dispiaceva litigare così accanitamente con lui. Era il mio migliore amico, gli volevo bene, ed ero anche innamorata di lui. Però non riuscivo a controllarmi. Il lunedì seguente, ad una settimana dal “fattaccio”, ero andata a studiare a casa di Alessia. Dopo il pranzo, avevamo guardato insieme la nostra serie tv preferita, e ci eravamo sistemate in cucina per studiare. La cucina aveva un terrazzo, che si affacciava sul cortile dove abitavano tutti i parenti della mia amica. Quindi, non era raro che qualche zio o cugino andasse a farle visita quando c’ero anch’io. E quindi, nessuna delle due si stupì quando, verso le 16.30, sentimmo suonare il campanello di una bicicletta. Alessia si precipitò fuori per vedere chi era, e tornò dentro con un’espressione preoccupata “È per te” disse soltanto. Mi affacciai, e lo vidi. Era appoggiato al muretto che delimitava il piccolo orto, e giocherellava con i pedali della bici. Scesi le scale, la rabbia che montava. “Che vuoi?” “Ciao anche a te, come stai oggi, inviperita come sempre?” “Che vuoi?” “Parlare” “Mi sembra che io e te abbiamo già parlato abbastanza, che dici?” “Forse tu hai già parlato, perché da una settimana a questa parte non mi lasci più aprire bocca” “Per sentire le tue scuse idiote? No, grazie, preferisco di gran lunga urlarti contro!” Non era vero. Però dissi questa frase con cattiveria, e lo colpii. Rimase per un attimo interdetto, quindi continuò “La cosa che non hai ancora capito è che non tutti sono perfetti come te. Gli essere umani compiono degli errori, a volte gli capita. Tu, invece, fai sempre la cosa giusta, non è vero? Bhe, ora ti rivelerò un’altra cosa a te sconosciuta. Le persone perfette sono noiose, monotone, sempre uguali nella loro impeccabilità” Lo avevo sottovalutato. Sapeva far male, altrochè. E quello era un tasto sensibile per me. “Io non sono perfetta, io sbaglio, non sai quanto. Semplicemente evito di compiere gli errori più elementari” “Giusto, io commetto errori elementari. Ma hai ragione, hai perfettamente ragione. L’errore più grande l’ho fatto io” disse risalendo in bici “Vedo che finalmente l’hai capito, che bravo” risposi acida “No, non mi riferivo a quello, mia cara. Il mio errore più grande è stato innamorarmi di te!” esclamò, quindi corse via. Lo osservai svoltare l’angolo, e rimasi impalata. Il vento mi sferzava il viso, il naso diventava sempre più rosso, ma non mi muovevo. Dopo qualche minuto, o forse qualche anno, due mani mi cinsero la vita trascinandomi via. E in quel momento le parole che non avevo avuto la forza di prununciare, qualche minuto prima come negli anni precedenti, uscirono dalla mia gola, e fu come se mi fossi tolta un peso. Dissi solo “Ti amo anch’io”.

Edited by Vaniglia97 - 31/12/2010, 17:50
 
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valenzz90
view post Posted on 16/11/2010, 16:17




La parte finale mi ha colpito molto.
Brava!
 
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Vaniglia97
view post Posted on 31/12/2010, 17:52




Scusate il ritardo, terzo capitolo pronto.

“Devi parlagli” continuava a ripetere Alessia: oramai non la ascoltavo quasi più. Il mio sguardo era fisso fuori dalla finestra, al muretto. I miei pensieri cercavano ancora di capire se avessi sentito bene o meno. Continuavo a ripetermi che non poteva essere vero, ero io quella innamorata, la stupida illusa, non lui. Ma, purtroppo, avevo sentito benissimo. Aspettavo da anni quell’improbabile dichiarazione, ma in quel momento non ero pervasa né da gioia né da felicità. Solo confusione, tanta confusione. Inoltre, ero alla disperata ricerca di un espediente per far tacere la mia migliore amica. La adoravo, ma certe volte l’avrei volentieri picchiata. Ad un tratto ricordai: geografia! Dovevamo ancora studiarla, e la professoressa aveva intenzione di interrogare il giorno seguente. Odiavo con tutto il cuore quella materia, ma mi sarei dovuta comunque preparare, tanto valeva usarla come espediente. Quindi esclamai “Dobbiamo studiare geografia!”, balzai agilmente giù dal divano dove mi ero gettata in stato catatonico dopo essere rientrata, mezza congelata e completamente incapace di intendere e di volere, e mi accomodai sulla sedia. Quindi aprii il libro alla pagina 124, “Egitto”. Meraviglioso. Avrei dovuto leggerla una dozzina di volte, prima di capirci qualcosa. Le mie difficoltà sullo studio dei continenti erano evidenti anche quando ero nella mia forma migliore, e quel giorno sarebbe stata davvero un’impresa farmi entrare qualcosa nella zucca. Sbuffando cominciai a leggere, fermandomi poco dopo. Ricominciai a pensare a tutto quello che era successo, a tutto quello che non sarebbe dovuto succedere. Per colpa di un quaderno. E di una scommessa. Mi venne da ridere.

Accoccolata tra le coperte, pensavo a ciò che avrei fatto il giorno seguente. Già, che avrei fatto? Non lo sapevo ancora. Ad un tratto, l’illuminazione: l’unica cosa da fare era parlargli, inutile girarci tanto intorno. Il giorno seguente avremmo parlato, e tutto sarebbe tornato come prima. Ne ero convinta, o almeno cercavo di esserlo. Tutto bene, sarebbe andato tutto bene, mi ripetevo. Tuttavia riuscii a prendere sonno solo dopo la mezzanotte.
Il mattino dopo mi svegliai prima del solito, con un familiare dolore allo stomaco. Il dolore da ansia. Mangiai poco o niente, e mi preparai con più cura e attenzione del solito: un modo come un altro per tenere la mente occupata. Ma niente riusciva a distogliermi dal pensiero che mi tormentava.
Scesi dalla macchina con passo trascinato, cercando con lo sguardo sia Alessia che Davide. Vidi immediatamente la mia piccola amica, e con un lieve sorriso la raggiunsi. Lei mi assalì ancor prima di salutarmi “Allora, che vuoi fare?” “Dovrei prima trovarlo, o no?” risposi un po’ acida. Lei non ci fece caso “È laggiù, con i suoi amici” disse, accompagnando le parole con un ampio gesto della mano. Le rivolsi un’ultima occhiata impaurita, quindi mi diressi verso di lui. Stupendo, come sempre, appoggiato ad un muretto. Un altro? Il giorno precedente avevo sviluppato un repulsione nei confronti dei muretti. Deglutii, quindi coprii con due falcate gli ultimi metri che ci separavano. Era di tre quarti, e non mi vide arrivare. O forse fece finta. “Ciao” esordii. Molto brillante come inizio, non c’è che dire. “Ciao” rispose con un aria sprezzante, voltando il capo quel poco che bastava ad incontrare il mio sguardo. “Dovrei parlarti” dissi mite. “Proprio adesso?” infastidito. Evitai di rispondergli male, non volevo sbagliare ancora. Feci solo un cenno con il capo, lui si alzò e si allontanò dal muretto. Io lo seguii con le gambe molli, lo stomaco in subbuglio. “Che vuoi ancora?” sputò con disprezzo. Sembrava un deja-vu. Solo che questa volta ero io ad essere trattata male. “Io vorrei…..vorrei chiederti scusa. Per ieri e per la scorsa settimana. Mi sono comportata malissimo, ma ero arrabbiata. Scusami”, mormorai con gli occhi bassi. Quando li rialzai, il suo sguardo era rimasto freddo, indifferente. Le mie parole non l’avevano minimamente toccato. “Hai finito?” No, non avevo finito. Cioè, in teoria non avevo finito. Ma in pratica non sapevo se sarei riuscita a continuare. “Bhe no, cioè si, cioè….no. Volevo anche dirti che…” dissi, e le mie parole furono accompagnate da un suo sguardo scocciato. Ma la mia espressione pacata non si scompose, e continuai a balbettare suoni sconnessi. Ad un tratto, suonò la campanella, e Davide cercò con gli occhi una via di fuga. Ma non doveva scappare, e mi avvicinai ancora per impedirgi di muoversi, bloccandolo tra me e il cancello. Con la coda dell’occhio vidi i ragazzi entrare alla spicciolata, e riuscii anche a notare la chioma bionda di Alessia che mi aspettava impaziente. Rivolsi di nuovo lo sguado verso Davide, le sue mani in avanti nel tentativo di scansarmi. Il cervello pensò che era ora di andare, e avremmo continuato un’altra volta, ma il corpo non era dello stesso parere, e così gli diedi senza quasi accorgermene un bacio sulla guancia. Quindi, le gambe ritennero di poter battere la ritirata e, di corsa per non fare ritardo, varcai la soglia, lasciando dietro di me un attonito e sorpreso Davide.

Le ore di lezione volarono, e di esse capii ben poco. Per mia fortuna la professoressa interrogò l’altro primo della classe, e l’esposizione prese parecchio tempo. Un solo particolare di quelle cinque ore mi rimase impresso: Alessia andò in bagno, e nel tornare mi parve che stesse riponendo il cellulare in tasca. Ma a quella che poteva benissimo essere un’impressione non diedi peso, nemmeno quando uscendo da scuola riconobbi l’automobile di sua madre. Capii solo quando mi disse “Oggi è venuta a prendermi mamma, ti chiamo nel pomeriggio va bene?” e corse verso l’auto che aveva chiamato la madre per evitare di fare il tragitto scuola – casa con me e Davide. Voleva lasciarci soli. In pratica, voleva la mia rovina. Fui tentata di non aspettarlo, ma poi mi fermai al solito posto. Arrivò a passo di marcia, sul volto un’espressione infuriata, e senza degnarmi di uno sguardo iniziò a camminare. Io lo seguii, restando leggermente dietro di lui. Ogni tanto lo scrutavo in cerca di qualche segno che mi facesse capire cosa stava pensando, e ad un tratto mi accorsi che era diventato meditabondo, e camminava lentamente. Eravamo quasi a metà strada, ed io mi ero distratta ad osservare due ragazzini che facevano acrobazie con la bicicletta, quando mi sentii afferrare per il polso e tirare via. Svoltammo in un vicolo secondario fino a raggiungere una vecchia abitazione probabilmente disabitata, circondata da quello che una volta doveva essere un giardino rigoglioso. In mezzo al verde, spiccavano due panchine lucide, non ricoperte da felci o polvere. Arrivammo fino ad una delle due, poi Davide mi lasciò e si accomodò. Io feci lo stesso. Rimase per qualche istante in silenzio, fissando il giardino. Poi si voltò verso di me e disse “Ora parliamo”.
 
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valenzz90
view post Posted on 6/1/2011, 11:45




Scusa se l'ho letto ora piccola,ma stavo fuori casa e mi collegavo poco..
comunque bellissimo come sempre. Davvero.
 
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Vaniglia97
view post Posted on 6/1/2011, 18:14




Graaaaazieeeeeee! Così mi fai arrossire.....
 
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8 replies since 17/10/2010, 19:35   60 views
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