| Da un annetto mi ronza in testa una storiella, che da un mesetto ho deciso di buttare giù. Raramente riesco a scrivere, ma sono riuscita a terminare il primo capitolo. Ditemi che ne pensate. (Se devo metterlo in spoiler ditelo)
Avevo compiuto tredici anni da dieci giorni esatti. Erano le sette e trentacinque, e mi stavo preparando per andare a scuola, come tutte le mattine. Ogni giorno della mia vita, perlomeno finchè c’era la scuola, si rassomigliava. Quella mattina, però, qualcosa di diverso c’era. Dovevo comprare un quaderno. A sorpresa, il giorno prima al mio quaderno di letteratura erano rimaste soltanto due pagine bianche. A sorpresa, la mia riserva di quaderni a righe era terminata. E così, per la prima volta nella mia vita dovevo comprare un quaderno proprio prima di andare a scuola. Ripensandoci, è proprio con una novità che la mia vita monotona è terminata. È proprio grazie a quel quaderno, se adesso posso dire di aver vissuto veramente. Arrivata davanti alla scuola, salutai mia madre e scesi dall’automobile. Mi diressi verso l’istituto scolastico e, soprattutto, verso la mia migliore amica. Conoscevo Alessia dall’età di tre anni, e da allora non ci eravamo mai lasciate. Non avevamo niente in comune, assolutamente niente. Io ero alta, snella al punto giusto, capelli castani ricci, occhiali, timida, introversa, amante dello studio e della lettura. Lei era bassina, magrissima, capelli biondi lisci, vista perfetta, esuberante, estroversa, amante della musica e della danza. Dicevo, mi diressi verso di lei e la salutai “Ciao Ale, tutto bene?” “Si si, te?” disse abbracciandomi “Hai fatto letteratura? Io non ci sono riuscita” “Si, se arriviamo presto in classe ti do una mano. Una mano, non ti faccio copiare!” dissi ridendo “A proposito, ho finito il quaderno e devo comprarlo. Vieni con me? “Si, così magari mi riscaldo un po’, fa un freddo cane. Andiamo!” disse, poi prendendomi sotto braccio cominciò a camminare. Avevamo percorso solo qualche metro, quando la campanella trillò “Uffa, e ora la prof chi la sente. Ale, fai una cosa, corri in classe e inventati qualcosa per temporeggiare finchè non arrivo, ok? Corri” dissi, dandole una leggera spintarella. Mi incamminai a passo svelto, pensando a quale quaderno comprare per abbreviare i tempi. Ad un tratto vidi venire verso di me un volto conosciuto. Davide. Davide era mio amico dall’età di sette anni, ma ci conoscevamo dai tre anni. Ed io ero innamorata di lui. Lo so, “innamorata” è una parola grossa a tredici anni, ma non ne ho mai trovata un’altra. “Mi piace” mi pareva troppo restrittivo, così la mia cottarella infantile la chiamavo amore. Era alto cinque dita più di me (e la cosa mi mandava in bestia), capelli castano scuro, occhi castani, allegro, estroverso, spiritoso, permaloso, e riusciva a comprendermi. In pochi erano capaci di farmi tornare il sorriso nei momenti di sconforto, e lui era tra questi. Comunque, veniva verso di me con una faccia strana, triste e afflitta, dispiaciuta. Una faccia che non era da lui. Non ebbi nemmeno il tempo di salutarlo, quando fece una cosa stranissima: mi avvicinò a lui, mi misi una mano dietro la testa e l’altra davanti alla bocca. Quindi, si posizionò dall’altra parte della mano. “Scusami” mormorò. In quel momento capì che quella cosa strana era la simulazione di un bacio. Cominciai a divincolarmi, ma la sua stretta divenne ferrea, e l’unica cosa che riuscii a fare fu mordergli un dito. Dopo qualche secondo mi lasciò di scatto, ed io corsi verso la scuola, la mia ancora di salvezza. Troppo tardi capii che la scuola, altro che salvezza, era l’inferno! La nostra scenetta era stata tutt’altro che privata, e presto ne avrei pagato le conseguenze. Ah, ma Davide non sarebbe certo rimasto impunito! All’uscita di scuola, lo avrei massacrato…. In una specie di stato di shock, entrai in classe e mi accomodai al mio posto, notando a malapena l’assenza della professoressa. “Finalmente, dov’eri finita?” mi accolse Ale con un fiume di parole “Per fortuna che la professoressa non c’è, dicono che è malata, speriamo manchi per un mese! Ma che ti è success..” “Wow, Cristina, complimenti per lo spettacolo. Queste cose te le prepari a casa o improvvisi?” esclamò entrando in classe Giacomo, il più bravo dopo di me ma anche il più sfrontato e irriverente della classe. Spesso le sue battute erano divertenti, ma altrettanto spesso erano inappropriate, proprio come in quel momento. Alessia gli diede una risposta che non udii, poi si concentrò su di me: “Mi spieghi, cortesemente, che è successo?” Così, con frasi sconnesse, riuscii a farle capire l’accaduto, mentre l’attenzione dei presenti si concentrava su di me. I maschi ridevano a gran voce, le femmine emettevano acuti risolini chiedendomi da quanto tempo ero fidanzata. L’arrivo della seconda ora, e con essa del supplente assegnatoci, mi rincuorò un pochino, e mi diede modo di pensare a mille modi per vendicarmi. Nessuno mi interrogò, e fu una fortuna perché avrei parlato in modo molto dettagliato dell’atroce tortura alla quale avrei sottoposto Davide. Suonata la campanella, corsi immediatamente fuori dal portone, e poi verso il luogo nella quale io e Alessia aspettavamo abitualmente quell’infame traditore. Nell’attesa altri alunni che avevano visto la scena quella mattina fecero delle battute alla quale cercai di non badare. Appena Davide fu a portata di orecchio, lo aggredii. “Mi fai capire cosa ti ha detto quel tuo cervello dal diametro di 2 millimetri ormai permanentemente abitato da mosche? E muoviti, che voglio arrivare il prima possibile a casa” dissi, cominciando quasi a correre, per il nervosismo e per la fretta, appunto, di andarmene. “Ma dai, non è successo niente, è stata una sciocchezza” proprio in quel momento quasi a volerlo smentire, uno dei miei compagni di classe passo con la bicicletta fischiando verso di noi “La vedo, la sciocchezza” risposi amara “Vuoi almeno spiegarmi il motivo di tale azione?” “Vedi, questa mattina io e alcuni miei amici….” cominciò esitante “…io e alcuni miei amici abbiamo fatto una scommessa. A turno avremmo baciato la prima ragazza e passava, e così….Ma se tu non fossi passata proprio in quel momento… Non potevo fare la figura del codardo…….” Qualunque cosa mi sarei aspettata, ma non quello. La mia vita era momentaneamente rovinata, e per che cosa? Una scommessa. Una scommessa. Scoppiai a ridere, una risata nervosa, isterica. “Una scommessa? Ma io ti ammazzo, altrochè. Ti ammazzo! Stai a vedere che uno non è libero di passare quando vuole perché un’idiota ha fatto una scommessa con i suoi amici. Una scommessa! La prossima volta avverti, metti i manifesti, così mi asterrò dal passare. Ma non ci sarà una prossima volta, perché io ti ammazzo adesso!” e cominciai a dargli schiaffi sulle braccia, in faccia, ovunque riuscissi a raggiungerlo. Alessia, che fino a quel momento era stata in ascolto, intervenne per separarci. Non sarebbe mai riuscita a trattenermi, ma mi lasciai allontanare e ripresi una facciata dignitosa. Solo in quel momento mi accorsi che avevamo raggiunto casa mia, quindi salutai promettendo a Davide che non sarebbe finita lì, e suonai il citofono. Entrata in casa, posai lo zaino e mi afflosciai sul divano, ancora incredula. Una scommessa. Una scommessa infantile, per di più. Quando mia madre mi chiese il motivo di tanta tristezza, le dissi tutto. E scoppiai in un bel pianto liberatorio, che trattenevo fin dalla mattina.
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