| lo rimetto xk ho modificato molte parti...
La RADURA
Era una sera di mezz’estate. Claude non aveva ancora finito il pancake che sua madre le aveva preparato poco prima di andare al lavoro, sì, era così che cercava di riscattarsi.
Magda, la giovane madre di Claudette, credeva che una paghetta alquanto cospicua nel weekend, qualche regalo esageratamente costoso e un finto certo interesse per il suo andamento scolastico potesse andare a sostituire pienamente l’amore materno di cui un’adolescente si nutre quotidianamente e la sua rara presenza a casa. D’altronde, solo questo poteva fare. “In qualche modo devo pur tener in piedi la baracca- diceva continuamente – i soldi ancora non crescono sugli alberi, se solo tuo padre...”. Solitamente a quel punto del discorso Claude già non le prestava più attenzione, la aveva sentita mille volte ripetere la solita e ormai banale storia. Sapeva benissimo come Paolo le aveva lasciate per fare successo, o almeno così credeva, era partito per Londra, quando la ragazza aveva appena 8 anni e dal quel giorno non lo rivide più. Ma non le andava di ripensarci, si era stancata di preoccuparsene.
La giovane Claudette Roon era ancora seduta sulla vecchia sedia a dondolo in veranda, il piatto in mano, riempito dei piccoli residui dello squisito dolce, lo sguardo curioso e indagatore perso nella radura che si stende giusto a qualche decina di metri dalla recinzione del suo giardino. Amava l’atmosfera a quell’ora, era quasi il crepuscolo e gli ultimi raggi ondeggianti del sole calante danzavano sulle acque riflettenti del laghetto delle crune. Adorava quel luogo “A un non so che di magico”. Ripeteva, ed era così, solo che Claude non poteva sapere. Mille leggende erano nate sulla storia di quella radura, le voci più vecchie narravano che gli alberi che la circondano siano antichi elfi-mutaforma, per paura delle carestie e degli orrori che l’uomo portava nel mondo naturale essi decisero di trasformarsi in vecchi cipressi secolari e così fu per l’eternità. I cantastorie del paesino vivono di queste storielle e ne raccontano a volontà. Molti dicono di essere stati testimoni della danza delle fate. Spopolava il mito che nelle notti di luna crescente le fate riacquistino improvvisamente i loro eterni poteri e che per festeggiare questo lieto evento si ritrovino in radura esibendosi in danze o altrettanto sublimi canti e musicherie.
Fin da neonata, Claude, era stata affascinata e ossessionata da queste storie fantastiche, oltretutto in ogni leggenda c’è un fondo di verità no? Mille e mille volte si era trovata seduta tra le grandi radici dei Varden, (in antica lingua: “Guardiani”, si tratta di due querce più che secolari, poste parallelamente ai piedi della radure sembrano formare un portale per addentrarsi in quest’ultima.) Ma niente era mai accaduto, eppure lei non smetteva di sperare. Andò in camera sua e si lasciò cadere sul letto, restò inerme per un po’ e poi cominciò a osservare i disegni che la circondavano. Sulle pareti della sua stanza vi erano raffigurati elfi, folletti e moltissime creature fantastiche. In quel momento scattò qualcosa in lei, non sapeva cosa fare e prima o poi la noia estiva avrebbe preso il sopravvento su di lei. Indossò un paio di shorts e una canottiera gialla, prese uno zainetto ci mise tutto ciò che le passò sottomano, bottigliette d’acqua, qualche snak, una torcia, perché il buio stava avanzando e, infine, un cappellino. Velocemente andò a specchiarsi, prese un elastico che aveva intorno al polso e legò i suoi lunghi capelli scuri, si guardò per qualche istante e controllò di avere al collo il suo dedrà. Il dedrà era un cristallo porta fortuna dai colori pallidi e solari, lo aveva ricevuto al suo 5° compleanno e daa allora non lo aveva mai tolto. Si sciacquò il viso velocemente e poi corse in corridoio. Chiuse la porta d’entrata a chiave dall’interno, poi si recò in veranda. Con un gesto abile e al quanto avventato saltò la staccionata e la canaletta che affianca quest’ultima.
Si avventurò frettolosamente tra le erbacce che ricoprivano il sentiero ormai quasi invisibile agli occhi e dopo poco si ritrovò dinanzi al primo dei Varden. Non si fermò lì, non questa volta. Dopo pochi metri trovò il secondo Varden che sorpassò rapidamente quanto il primo. Riprese il sentiero e velocemente si ritrovò nel centro della radura.
Si sedette all’ombra di un abete e cominciò a guardarsi intorno. Erano ormai le 18.30 e l’atmosfera si faceva romantica quanto tenebrosa. Cominciò a sgranocchiare una barretta ai cereali quando qualcosa di luccicoso la colpì proprio in fronte. Si girò e vide il piccolo bagliore allontanarsi. “Era solo una lucciola”. Pensò. Prese uno specchietto che trovò nello zaino e cercò di vedere se le era rimasto qualche segno sulla fronte. Quando vide la sua immagine riflessa non credette ai suoi occhi. Un segno flebile ma alquanto piccolo era inciso sulla sua ampia mente. Era il disegno di una nota, sì, proprio una nota musicale, non era in rilievo cm una cicatrice ma neanche colorato come uno stampo o un tatuaggio era leggero e delicato come un a piccola bruciatura. Si girò e vide che la lucciola le ronzava ancora intorno allora la seguì e cercò di acchiapparla. In men che non si dica si ritrovò a percorrere un sentiero strano, nuovo, non lo aveva mai visto prima eppure conosceva la radura come le sue tasche. Ben presto si ritrovò davanti ad un un grosso fusto. Non era come un qualsiasi albero della radura, questo esemplare era molto più grande, il tronco aveva una larghissima circonferenza e il legno non aveva schegge, sembrava…di plastica. Ci posò una mano sopra per essere sicura che fosse reale, la natura non avrebbe mai potuto levigare del legno in quel modo. La sua superficie perfetta era di un colore inidentificabile, venato da una sottile ragnatela di striature marrone scuro, era freddo e liscio al tatto, come seta. Lo osservò per qualche minuto buono e cominciò a girargli intorno osservando qualsiasi piccolo particolare, qualsiasi insignificante dettaglio. All’altezza del suo sguardo in mezzo a molte venature scure vide inciso lo stesso simbolo che poco prima le era apparso sulla fronte, cerco di toccarlo ma non fece in tempo. Stava giusto avvicinando la mano quando la piccola incisione emise un lieve bagliore, il segno sulla sua fronte cominciò a bruciarle, e si senti catapultata indietro da una forza sovraumana, si ritrovò a terra. Davanti ai suoi occhi, dove poco prima si ergeva la quercia in tutta la sua secolare bellezza, il tronco celò una scala ripida quanto fredda al suo interno. La testa le girava, e la fronte sembrava andarle ancora a fuoco. Si alzò in piedi e cercò di restare bene in equilibrio. Prese lo zainetto e se lo mise in spalla si avvicinò al tronco/entrata e guardò giù. Da appena sotto i suoi piedi, la lunga scala partiva e scendeva ripida roteando a chiocciola, i leggeri fasci di luce ke penetravano da dietro le spalle di Claude venivano riflessi sul materiale cristallino della scala e si spandevano creando una specie di arcobaleno sulle pareti viscide dell’interno. Dinnanzi a lei uno spettacolo meraviglioso stava avendo luogo, si fece coraggio e si incamminò seguendo i gradini. Piano, paino scese tutta la scala e si ritrovò in una sala spaziosa e dalle fatture reali. Le pareti erano adorne di arazzi, quadri e di quanti più oggetti preziosi avesse mai visto, ne restò affascinata e cominciò a guardarsi intorno con fare investigativo.
-Dove mi trovo?- -Perché questo posto non l’ho mai visto prima?- -Mi sembra tutto così strano-
Ad un certo punto la sua attenzione venne rapita da un suono flebile ma alquanto melodioso, su una mensola a qualche metro da lei un carillon era stato caricato e stava suonando le dolci note di una ninnananna. Claude si mise a scrutare attentamente il carillon. Non ne aveva mai visto uno di così bello, aveva le fatture di un fiore, ma era solido come la roccia. Sulla cima la miniatura di una fata girava a tempo di musica. Lo chiuse e lo mise nello zainetto. Poi vide una finestra dall’altro lato della stanza. Guardò fuori e rimase sorpresa.
-Prima di tutto dove diavolo mi trovo-. Pensava. -Se ormai è il tramonto come mai fuori splende il sole alto nel cielo?-
Decise di non pensarci. Continuò a girare nella sala, fino a quando si trovò dinnanzi una grossa porta azzurra, decorata d’oro e incastonata di gemme. In testa alla quale si trovava un cartello con sopra un scritta: -Domia abr Wyrda- La ragazza non capiva, non riusciva a comprendere in quale strana lingua era la scritta, nonostante questo si fece coraggio e spalancò la porta.
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